La virulenza con la quale i rappresentanti della nazione slovena a Resia stanno strumentalizzando l’utilizzo di una “z” nella testata del locale bollettino parrocchiale ed il risalto con il quale i loro organi di stampa diffondono la loro sofferta indignazione confermano ampiamente che il problema non attiene alla sfera della grafia. In realtà, è iniziata l’ultima fase del percorso, scientificamente programmato, profumatamente pagato e subdolamente attuato, di assorbimento della comunità resiana nella nazione slovena.
Passo dopo passo, con certosina pazienza, il “narod” procede nella certezza che i resiani - chi per stanchezza, chi per quieto vivere, chi per incoscienza, chi per interesse - abbandonati a se stessi dalle forze politiche democratiche e complice uno Stato distratto ed incapace di capire la posta in palio, la smettano di combattere per la loro dignità di popolo culturalmente e linguisticamente diverso dalla maggioranza della nazione - quella italiana - alla quale si sentono di appartenere ed alla quale hanno deciso, con coscienza e in tempi non sospetti, di aderire.
La contesa è, infatti, impari. Da una parte, cittadini che non hanno altri fini se non quelli di tramandare una coscienza pulita della loro storica identità, non inquinata da fiumi di denaro che arrivano da oltre confine e che consentono di costruire scientifiche conferme delle loro faziose posizioni. D’altra, dipendenti di organizzazioni slovene, finanziate da Lubiana, che, dalle valli del Natisone alla Valcanale, passando dalle valli del Torre e Resia, dedicano tutto il loro tempo e gli ingenti mezzi a disposizione per precostituire l’evidenza di una appartenenza nazionale mai esistita ed anche da loro difficilmente proclamata.
La strategia è semplice. La lingua locale, quella parlata dalla popolazione autoctona è oramai in disuso; può iniziare l'alfabetizzazione in lingua slovena standard di questa ultima e lontana periferia, troppo a lungo distaccata dalla nazione madre e la sua definitiva incorporazione in quel contesto culturale, sociale, economico e politico. In altre parole, quello che i “titini” non sono riusciti a fare con la prepotenza delle armi, i nazionalisti sloveni nostrani lo stanno per compiere con la potenza delle loro finanze, l'astuzia delle loro alleanze politiche, il complice disinteresse del Friuli e dell’Italia.
In effetti, sul tappeto non viene posto il problema della Resia o delle comunità di cultura e parlate slave della provincia di Udine. E’ una questione nazionale ed europea. Non si tratta di grafia o grammatica bensì di libertà e democrazia, di autodeterminazione nazionale.
Ben presto, in tanti dovranno rispondere delle proprie scelte, leggerezze o complicità: da Udine a Trieste e da Roma a Strasburgo, ma soprattutto di fronte alla propria coscienza.
Nel mio piccolo non intendo esaurirmi in diatribe sulla grafia e la grammatica. Per vivere devo lavorare. Non dispongo di legioni di docenti di linguistica né di mezzi di comunicazione a sostegno delle mie posizioni. So che la questione è politica ed è su quel piano che devo essere giocata la partita. Mi consola e mi incoraggia la consapevolezza di non essere solo anche se, conoscendo gli avversari so che non esiteranno a portare gli attacchi anche sul piano personale, come hanno già cominciato a fare.
FC