Höspud Presydent Barroso;
höspud Presydent Illy;
nä möj jymë, nu od usëh judi kä so sodë, uäs śahualjän da näs vy stä tëlë pušlušät te rośajanske judë ka so dušly döu Vydän śä
śdëlat čot njeh hlas nu śä śdëlat vëdët da ny upäjo ostät rośajanävë tej rudë nu śä lymër.
Signor Presidente Barroso;
Signor Presidente Illy;
a nome mio e di tutte le persone presenti, vi ringrazio, poiché oggi avete voluto ascoltare la popolazione resiana giunta a Udine
per far sentire la propria voce e per sottolineare la volontà di restare ancora e per sempre popolo resiano.
Le Costituzioni dei paesi europei sono basate sui diritti da garantire in modo uguale ad ogni cittadino.
La Carta Universale dei Diritti dell’Uomo, sottoscritta dalla maggioranza delle popolazioni del Pianeta asserisce “Tutti gli uomini nascono liberi ed uguali, pari in dignità e diritti”.
L’ordinamento europeo ha espresso questi principi nell’ambito del Consiglio d’Europa con la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali (ratificata dall’Italia con la legge n. 302/1997) e con la Carta delle lingue regionali o minoritarie (sottoscritta dal nostro paese il 27 giugno 2000).
Il diritto alla pari dignità, che la stragrande maggioranza dei resiani residenti in valle e sparsi nel mondo chiedono, è vitale per il nostro presente e per il futuro delle giovani generazioni.
La regione autonoma Friuli Venezia Giulia non può non tener conto di questi orientamenti e principi, nell’esercizio della propria potestà legislativa.
La minoranza storica resiana, radicata per secoli sul proprio territorio è sopravvissuta grazie al suo isolamento geografico e per la sua unicità e specificità ha suscitato interesse in tutto il mondo. A tal proposito giova tener presente l’ampia letteratura e gli innumerevoli studi eseguiti sulla lingua resiana dall’antichità sino ai nostri giorni(vedasi allegati).
Grazie a questo isolamento le popolazioni resiane hanno sviluppato una lingua comune interna alla valle che li differenzia da tutte le altre poste fuori della valle. Provate, infatti, a mettere in contatto diversi soggetti provenienti dai comuni contermini con i parlanti resiani e vi accorgerete che bisogna far ricorso ad una lingua diversa per permettere il confronto. Ora viene usato l’italiano così come in precedenza veniva utilizzato il friulano e l’austriaco. Mai lo sloveno.
L’appartenenza politico – economica al Friuli, con il trascorrere dei secoli, ha favorito l’inserimento nel linguaggio comune resiano di molti prestiti di quelle lingue. Basterebbe prendersi la briga di scorrere il “Piccolo dizionario ortografico resiano” di Han Steenwijk, presentato a Resia nel 2005, per appurare che su circa 2204 vocaboli contenuti, 732 sono prestiti friulani, 93 prestiti tedeschi e, necessariamente, molti neologismi italiani.
Relegare, quindi, il resiano nel limbo dei dialetti rappresenta una mancanza di rispetto, una “diminutio capitis” per una lingua con la quale i Resiani, in quasi 1400 anni di convivenza si sono detti tutto, si sono trasmessi le conoscenze, la cultura, le arti, i mestieri, la tecnologia, la danza e la musica.
La tutela e la valorizzazione della lingua resiana costituiscono un valore in sé e rappresenta un’utilità e un vantaggio nell’insegnamento linguistico in genere, rivolto all’apprendimento delle altre lingue che sono inserite nei curricula scolastici.
La regione autonoma Friuli Venezia Giulia nel tutelare la lingua resiana nell’insegnamento avrebbe potuto attuare la più moderna metodologia del plurilinguismo con la lingua storica del territorio.
Purtroppo, però, con la recentissima approvazione della legge di tutela della minoranza linguistica slovena( ottobre 2007) il Consiglio Regionale non ha voluto esercitare la funzione legislativa per tutelare quella popolazione minoritaria. Approvando, infatti, l’art. 16 ha reso obbligatorio l’insegnamento della lingua slovena, totalmente sconosciuta dalla popolazione, nelle scuole locali d’ogni ordine e grado.
Per le motivazioni esposte, signor presidente Barroso, rivolgiamo una supplica affinché nel rispetto dei diritti sacrosanti dell’autodeterminazione e della libertà sancita dalle normative del Consiglio d’Europa, questa straordinaria popolazione trovi adeguata tutela e non debba assistere al tramonto della propria millenaria peculiarità nell’arco di un decennio.