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Identità e tutela Val Resia

Tutela degli sloveni

Diritti di una comunità o privilegi di una casta

di Ferruccio Clavora

Premessa

Nonostante la determinata e rumorosa protesta dei cittadini di Resia e la sensata, documentata ed articolata opposizione del consigliere Roberto Molinaro, in data 23 ottobre 2007 la maggioranza politica del Governatore Riccardo Illy in Consiglio regionale ha approvato, non senza evidenti tentennamenti ed incertezze, le “norme regionali per la tutela della minoranza linguistica slovena” del Friuli-Venezia Giulia, in attuazione di uno dei punti programmatici della maggioranza stessa per la legislatura in corso. Sorprendente, invece, il voto favorevole della Lega Nord su un testo che contraddice clamorosamente gli impegni assunti da quel Movimento in occasione della campagna elettorale regionale del 2003, nonché lo scarso interesse dimostrato per la materia, sia durante il lavoro in Commissione che nel corso della discussione in Aula, dai consiglieri di Forza Italia e Alleanza nazionale. Ancora una volta, mentre le forze politiche di sinistra hanno dimostrato di tenere fede agli impegni assunti con le organizzazioni slovene di Trieste e Gorizia in cambio del loro sostegno elettorale, il centro-destra, con la sola eccezione dell’U.D.C., incassato il voto favorevole delle popolazioni della fascia confinaria della provincia di Udine, sia alle regionali del 2003 che alle provinciali udinesi del 2006, si è completamente disinteressato delle sorti di Resia e della Slavia Friulana e degli sloveni triestini e goriziani che non accettano di sottostare alla volontà delle “organizzazioni di riferimento”, già organicamente collegate con Lubiana, capitale della Nazione madre, ed ora imposte anche dalla legislazione regionale quali esclusive rappresentanti della comunità: alla faccia della democrazia, del pluralismo e della pari dignità del libero associazionismo.

Questo colpevole disinteresse - complicità, per quanto riguarda la posizione della Lega Nord - consentirà il completo e definitivo asservimento dell’intera comunità slovena alle logiche ed agli interessi delle “organizzazioni di riferimento” che hanno fortemente condizionato la formulazione del testo. In particolare, i cittadini di resia e della Slavia Friulana e le loro associazioni, fieri della loro antica autonomia, si vedono ingabbiati negli schemi culturali ed organizzativi di una Nazione nella quale non si riconoscono. Lo strapotere di queste “organizzazioni di riferimento”, anche se privo di legittimazione democratica, è praticamente assoluto: si fonda sulla ferrea determinazione dei consiglieri regionali sloveni e sul deficit di democrazia che ha colpito l’Aula di Piazza Oberdan in quei tristi giorni di fine ottobre. Pochi hanno capito che, in un certo qual modo, l’approvazione di quella legge, di fatto, significava, per l’Italia, l’abdicazione della sua sovranità su quella parte del suo territorio.

La pubblicazione del testo sul Bollettino Ufficiale della Regione, avvenuta il 21 novembre 2007 con il n° 26 non suscitava particolari reazioni, passando nell’indifferenza più generale. Il dado era tratto.

Gli antefatti

La tutela della minoranza slovena è uno degli indicatori più significativi della strumentalizzazione che viene fatta dei lavori della Costituente repubblicana ed è strettamente collegata al tema della specialità dello Statuto di Autonomia della Regione Friuli-Venezia Giulia. Secondo un’interpretazione, che si va affermando con sempre maggiore forza, del dibattito svoltosi alla Costituente relativamente alle motivazioni fondanti di questa specialità, la stessa sarebbe la diretta conseguenza della presenza della minoranza slovena in questo territorio. Per esempio, anche nella relazione che accompagnava il disegno di legge n. 205 “Norme regionali per la tutela della minoranza linguistica slovena” di iniziativa della Giunta regionale e presentata alla Presidenza del Consiglio il 31 luglio 2007 si legge che “”come emerge da un’attenta lettura degli atti dell’Assemblea costituente, una delle ragioni fondanti dell’autonomia differenziata della nostra Regione è costituita proprio dalla presenza della minoranza slovena sul suo territorio.”

Da una “attenta lettura “ di questi Atti si rileva invece, che nella seduta dell’assemblea Costituente del 27 giugno 1947 Tiziano Tessitori, illustrando l’emendamento che introduceva la denominazione “Friuli-Venezia Giulia” alla Regione precisava che “Non è certo possibile qualificare la regione come regione mistilingue. Entro i nuovi confini del nostro nuovo stato rimangono circa 9.400 slavi, che si concentrano quasi tutti nella città o nei dintorni di Gorizia. Ci sono altri slavi, circa 30.000, ma questi sono stati e sono incorporati all’Italia fin dal 1866: sono le popolazioni della Vallata del Natisone, popolazioni che sono profondamente italiane”. Inoltre, l’on. Ruini, presidente della Commisione dei 75, prima di dare luogo alla votazione dell’articolo pronunciò un breve discorso nel quale precisava che “Io so che la schiera degli alloglotti slavi che restano all’Italia è tenuissima; e non penso certo che il riconoscimento del Friuli-Venezia Giulia quale regione speciale abbia lo stesso significato e lo stesso valore che ha la figura della regione speciale per la Valle d’Aosta e per il Trentino-Alto Adige. Non si tratta affatto di affermare che quanto ci resta è zona etnicamente e politicamente contestabile. Anzi il senso è contrario.”

In realtà è la posizione del Friuli, ai confini con la Jugoslavia e l’incertezza del futuro di Trieste e della Venezia Giulia - quindi una questione di politica internazionale attinente sia ai confini dello Stato che all’entità della Venezia Giulia che sarebbe rimasta all’Italia - a portare i Costituenti, contro la volontà dei friulani, a comporre questa artificiosa Regione, unendo due territori che ben poco avevano - e tuttora hanno - in comune.

In effetti, anche la Deputazione provinciale di Udine, votava nella sua seduta del 3 luglio 1947 un ordine del giorno in cui si deplorava che “l’Assemblea costituente abbia incluso fra le regioni a statuto speciale il Friuli, contro ogni realtà storica, etnica ed economica e contro i voti non solo degli oppositori alla creazione di una autonoma regione friulana, ma altresì contro il voto degli stessi fautori e sostenitori dell’autonomia del Friuli.”

Inoltre, già allora la specificità della comunità di Resia e della Slavia Friulana era culturalmente e politicamente ben individuata e non si prestava a forzate assimilazioni con la componente nazionale slovena.

Il resto è noto. Tenendo conto della forte contrarietà dell’opinione pubblica friulana alla concessione dello statuto speciale, preoccupata delle possibili ripercussioni internazionali con l’eventuale accentuarsi delle rivendicazioni della Jugoslavia su queste terre, la Costituente, nella sua seduta del 30 ottobre 1947, approvò la decima norma transitoria che ritardò di quindici anni l’istituzione della Regione che nascerà solo nel gennaio del 1963 con l’approvazione, con legge costituzionale, del suo statuto ed inizierà a muovere i primi passi nel maggio del 1964.

Tralasciando, nell’ambito di questo scritto, il commento ai vari impegni internazionali assunti dallo Stato italiano nonché le varie misure legislative interne di tutela della minoranza nazionale slovena che verranno adottate in modo parziale, confuso e disorganico a partire dal Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 fino alla Legge 38 del 2001, passando dal Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954 con l’Allegato statuto speciale, dalle leggi 1012 del 1° luglio 1961 e 932 del 22 novembre 1973 sulle scuole slovene, al Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, alla legge sulle aree di confine del 1991 e la L.R n. 46 del 1991 che istituisce la Commissione consultiva per le iniziative culturali, artistiche ed educative della minoranza slovena nonché per iniziative volte alla tutela della lingua, cultura e tradizioni di 12 comuni della fascia confinaria della Provincia di Udine, alla legge statale 15 dicembre 1999 n. 482 di tutela delle minoranze linguistiche storiche, al decreto legislativo 12 settembre 2002, n. 223 che trasferisce alla Regione le funzioni in materia di tutela della lingua e delle cultura delle minoranze linguistiche storiche, ecc … va indicato cha la serie di proposte di legge di attuazione del principio costituzionale di tutela delle minoranze linguistiche di cui all’articolo 6 della Costituzione, riferita esplicitamente ed in modo esclusivo alla minoranza nazionale slovena, viene aperta dalla proposta dei gruppi parlamentari del Partito Comunista Italiano con un testo depositato al Senato il 29 aprile 1970 ed alla Camera l’ 11 agosto 1970.

La legge nazionale 23 febbraio 2001, n° 38 che reca norme per la tutela della minoranza linguistica slovena del Friuli-Venezia Giulia nasce culturalmente e politicamente vecchia, erede dei testi presentati in Parlamento nel lontano 1970 da Albin Skerk e nel 1972 dallo stesso Skerk con Alessandro Natta, Pietro Ingrao, Mario Lizzero (ed altri) in un contesto di dura contrapposizione politica che favorisce le logiche difensive, protezionistiche e, quindi, sostanzialmente ghettizzanti, a difesa della comunità nazionale slovena dalle aggressioni del contrapposto nazionalismo italiota.

Le finalità politiche e nazionali

Anche le disposizioni della legge regionale n. 26 del 21 novembre 2007 che vanno intese come integrazione ed attuazione della normativa nazionale in materia di tutela delle minoranze linguistiche ed in particolare della legge 38 del 2001 risentono di quella vetusta impostazione.

Le due leggi tendono, quindi, a predisporre una tutela improntata alla logica della separazione, dell’estraneità della comunità tutelata al contesto più ampio, sviluppando sensi di separatezza ed istituendo rigidi meccanismi di gestione autosufficienti ed auto-referenziali; privilegiano e rafforzano nuove e più stringenti solidarietà con la Nazione madre: non l’unità nella diversità nel contesto statale di appartenenza bensì la diversità quale giustificazione e fondamento dell’ autoreferenzialità, nella quale predomina il senso dell’auto-legittimazione corporativa, nella prospettiva di una riunificazione culturale e politica con la Slovenia.

L’organizzazione e la gestione dei vari aspetti della tutela vengono ampiamente delegati alle corporazioni che, per decenni e con il determinante aiuto dei finanziamenti provenienti dalla Nazione madre hanno precostituito le condizioni ed i criteri per poter beneficiare degli aiuti previsti, ora, anche dalle leggi italiane, statale e regionale. In effetti, in ottemperanza all’articolo 5 della Costituzione della Repubblica di Slovenia, che fa obbligo allo Stato di prendersi cura dei segmenti della comunità nazionale stanziata al di fuori dei confini dello Stato-nazionale sloveno, all’articolo 154 del Bilancio della Repubblica per il 2007 si rileva che per quell’ esercizio, sono stati stanziati ben 7.918.000 Euro per “Obblighi costituzionali” quale “sostegno alla comunità autoctona nazionale slovena oltre confine - Trasferimenti liquidi all’estero”. E’ fortemente presumibile che la maggior parte di questi fondi arriva nel Friuli-Venezia Giulia. Inoltre, a questa considerevole cifra vanno aggiunti ulteriori finanziamenti a carico di altri Ministeri del Governo della Repubblica.

Non c’è partita. Chi non si adegua - sottomette - alle regole monopolistiche dettate dall’unico giocatore in campo, non entra nemmeno sul terreno di gioco.

In realtà si tratta di una legge - la n.26 del 2007 - che codifica il monopolio della rappresentanza e della gestione dei fondi da parte di organizzazioni prive di legittimazione democratica e che si sostituiscono, di fatto, espropriandone la funzione rappresentativa e la necessaria trasparenza ed alternanza alle rappresentanze democraticamente elette dai cittadini, con grave menomazione della sovranità popolare.

Stupisce che nessuna coscienza democratica si sia preoccupata di riflettere non tanto sulla fantastica sproporzione tra i finanziamenti stanziati per la tutela della comunità friulana e quelli a disposizione di quella slovena, ma sull’impatto economico e politico, più che culturale, che può avere, in particolare in un’area depressa come quella delle Valli del Natisone, del Torre e di Resia, povere di risorse finanziarie, il controllo monopolistico dell’utilizzo di quel cospicuo flusso di denaro.

E’ questo il senso sostanziale della forte preoccupazione di molti amministratori locali, sinteticamente espressa in una lettera che il Sindaco di San Pietro al Natisone, Tiziano Manzini ha inviato a tutti i Consiglieri regionali. “Sorprende che di questi flussi finanziari e dell’uso che ne viene fatto nell’ambito del territorio nazionale italiano non viene mai fatto menzione. Rilevo che questa importante particolarità è stata ignorata anche durante il dibattito relativo all’approvazione della L.R. 26/2007: non ho trovato, in effetti, nessun accenno ad eventuali norme per la previsione di non cumulabilità tra questi finanziamenti e quelli di fonte italiana, nazionale e regionale.

Mi sembra superfluo ricordare che i fondi della Repubblica di Slovenia si aggiungono a quelli stanziati dallo Stato italiano (circa 4,5 milioni di Euro) e dalla nostra Regione (circa 1,5 milioni di Euro).

Non sfugge a nessuno l’importanza del potere che viene a formarsi nelle mani di chi ha il monopolio della gestione di una così ingente massa di denaro, in particolare in un’area povera di risorse come quella delle Valli del Natisone, del Torre e Resia. E’ il libero sviluppo dei normali processi democratici che rischia di essere viziato, costituendo situazioni di forzato e non gradito predominio culturale e politico che, ulteriormente, allontanano i cittadini dalle Istituzioni.”

Trattasi di amichevole interferenza da parte di una Nazione a sostegno di una sua comunità bistratta dallo Stato nel quale si trova collocata oppure di indebita ingerenza negli affari interni di un altro Stato, che falsa i normali processi democratici in atto in qualsiasi comunità?

Diventa chiaro, comunque, l’obiettivo dell’azione politica e culturale, di rilievo nazionale (sloveno) di consolidamento dello slovenski etnotni kulturni prostor - spazio culturale sloveno unitario. Con la compresenza nello spazio dell’Unione europea e nell’area di Schengen di Italia, Slovenia, Austria e Ungheria, si realizza, per via democratica ed internazionalmente garantita, l’istituzionalizzazione dello storico obiettivo nazionale sloveno dell’unità di tutti i componenti la Nazione in un unico contesto geopolitico.

Per i cittadini italiani dell’area confinaria del Friuli-Venezia Giulia che non si riconoscono nella Nazione slovena ed ai quali non vengono consegnati strumenti per la difesa delle loro specifiche identità, si tratta di una vera e propria emergenza democratica di cui nessuno sembra curarsi.

LA Legge n. 26 del 21 novembre 2007

La legge 26/2007 che prende le mosse dall’intento di “normalizzare” la situazione della comunità nazionale slovena del Friuli-Venezia Giulia è un impegno programmatico dell’attuale maggioranza politica regionale. L’intento dichiarato è quello di riconoscere questa comunità come parte integrante della collettività regionale, favorendo nel contempo una maggiore diffusione, tra l’insieme della popolazione, della conoscenza della lingua e della cultura slovene.

Il primo articolo, che contiene i principi generali, richiama le norme fondamentali di ordine internazionale, comunitario, costituzionale e statutario precisa che la legge integra e da attuazione alla normativa statale in materia definendo - assieme alle norme regionali specificatamente rivolte alle minoranze linguistiche friulana e germanofona - le linee fondamentali delle politiche d’intervento della regione a favore delle diversità culturali e linguistiche presenti nel proprio territorio.

L’articolo 2 - che va letto ed interpretato parallelamente all’articolo 22 -definisce l’ambito territoriale di applicazione della legge che comprende i comuni individuati in base alla procedura definita dalla legge 38/2001. Il terzo comma di questo articolo stabilisce, inoltre, che i provvedimenti previsti da questa legge riguardano anche il resiano e le varianti linguistiche delle Valli del Natisone, del Torre, e della Val Canale.

Gli articoli 3 e 4 affrontano gli impegni della regione nei rapporti internazionali, in particolare con la Slovenia, e quelli relativi alla migliore reciproca conoscenza e comprensione tra la comunità di lingua italiana e le minoranze linguistiche presenti sul territorio regionale, senza dimenticare gli impegni a favore della minoranza italiana in Slovenia.

L’articolo 5 istituisce l’Albo regionale delle Organizzazioni della minoranza slovena, l’articolo 6 ne definisce le “organizzazioni di riferimento” mentre l’articolo 7, riferendosi all’articolo 22 della 38/2001 demanda alla Giunta regionale l’individuazione delle organizzazioni sindacali rappresentative della minoranza, l’articolo 8 prevede l’istituzione della “Commissione regionale consultiva” per la minoranza stessa, l’articolo 9 affronta la questione dei rapporti tra la Regione ed il Comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza di cui all’art. 3 della legge 38/2001 e l’articolo 10 stabilisce che almeno una volta ogni cinque anni il Presidente del Consiglio regionale convoca la Conferenza regionale sulla tutela della minoranza slovena.

L’articolo 11 affronta la questione dei rapporti tra il cittadino appartenente alla minoranza slovena e la Regione in materia di uso della lingua slovena. Viene affermato il principio che i cittadini di lingua slovena possono rivolgersi alla Regione, verbalmente o per iscritto, nella loro lingua e hanno il diritto di ottenere risposta nella stessa lingua o in lingua italiana con allegato il relativo testo tradotto in lingua slovena. L’articolo impegna l’Amministrazione regionale ad assicurare la presenza di personale con conoscenza della lingua slovena nei propri uffici e ad istituire nelle zone centrali delle città di Trieste, Gorizia e Cividale, appositi uffici destinati alla comunicazione istituzionale e alla gestione delle relazioni con il pubblico mediante l’uso della lingua slovena. Nel territorio di insediamento della minoranza, le insegne e le indicazioni esposte al pubblico negli immobili sedi di uffici e strutture operative della Regione saranno corredate dalla traduzione in lingua slovena.

L’articolo 12 recepisce le norme statali sull’uso dei nomi, cognomi e denominazioni slovene e stabilisce le procedure e i termini per l’adeguamento degli strumenti meccanografici e telematici utilizzati presso gli Uffici della Regione a tali esigenze.

L’articolo 13 è relativo all’uso, nei territori di insediamento della minoranza, della lingua slovena da parte di soggetti privati sulle insegne esposte al pubblico e in tutte le indicazioni per il pubblico, compresa l’etichettatura dei prodotti.

L’articolo 14, con riferimento a quanto stabilito dall’aticolo 21, commi 1 e 2 della legge 38/2001, prevede un’adeguata rappresentanza della minoranza slovena nella composizione degli organi collegiali regionali consultivi competenti nelle materie relative all’assetto amministrativo, all’utilizzo del territorio nonché agli strumenti urbanistici e di programmazione economica e sociale e ai loro provvedimenti attuativi.

L’articolo 15 stabilisce che la Regione promuove la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, storico ed artistico della minoranza slovena provvedendo in particolare, per mezzo del “Centro regionale di catalogazione e restauro beni culturali”, ed avvalendosi dell’apporto delle istituzioni culturali e scientifiche della minoranza slovena, alla redazione e all’aggiornamento dell’inventario dei beni di tale patrimonio.

L’articolo 16 indica che la Regione promuove l’apprendimento e la conoscenza della lingua e della cultura slovena, sostenendo iniziative dirette a favorire l’insegnamento della lingua slovena nelle scuole di ogni ordine e grado. Per migliorare il grado di formazione e specializzazione nella lingua slovena dei cittadini appartenenti alla minoranza stessa, in particolare nel settore dell’istruzione universitaria e postuniversitaria, la Regione promuove iniziative di collaborazione tra le Università della Regione e quelle della Repubblica di Slovenia.

L’articolo 17 prevede la concessione, da parte dell’Amministrazione regionale, di contributi agli enti locali per il finanziamento di opere destinate all’attivazione ed al potenziamento di impianti di diffusione dei programmi RAI nonché la stipula, con la medesima società concessionaria del servizio pubblico radio-televisivo e con emittenti radiotelevisive private, di apposite convenzioni per la realizzazione di programmi e servizi in lingua slovena.

L’articolo 18 riformula la disciplina delle procedure per il riparto del Fondo per il sostegno delle attività degli enti e delle organizzazioni della minoranza slovena, nel quale affluiscono i contributi assegnati dallo Stato per le attività e le iniziative culturali, educative, informative e editoriali promosse e svolte da istituzioni ed associazioni della minoranza stessa.

L’articolo 19 riguarda l’assegnazione alla Regione dei contributi annui statali di cui all’art. 8 della legge 38/2001, per l’uso della lingua slovena nella Pubblica Amministrazione.

L’articolo 20 disciplina la ripartizione del contributo annuo disposto dallo Stato di cui all’articolo 21, c.3 della Legge 38/2001 destinato a finanziare interventi per lo sviluppo sociale, economico e ambientale dei territori della provincia di Udine compresi nei Comprensori montani del Gemonese, Canal del Ferro e Val Canale nonché del Torre, Natisone e Collio facenti parte del territorio d’insediamento della minoranza slovena.

L’articolo 21 istituisce nel bilancio regionale il Fondo regionale per la minoranza linguistica slovena con il quale la Regione finanzia una serie di iniziative ed attività che per il loro oggetto e i loro contenuti specifici non rientrano nelle tipologie delle iniziative e delle attività ammissibili ai contributi di cui agli articoli 18, 19 e 20. Con tale Fondo vengono finanziate anche la costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici adibiti alle attività della minoranza slovena, attività integrative per l’apprendimento della lingua slovena nella scuole pubbliche, progetti innovativi con particolare attenzione ai giovani ed altro ancora. In questo contesto incuriosisce e preoccupa l’assoluta assenza di riferimento ai cospicui finanziamenti che arrivano alle stesse Organizzazioni dalla Nazione madre.

L’articolo 22, infine, stabilisce la possibilità di concedere contributi ai Comuni per interventi in favore del resiano e delle varianti linguistiche delle Valli del Natisone, del Torre e della Val Canale. In questo caso, la legge sancisce una grave discriminazione tra le organizzazioni e le associazioni della minoranza nazionale e quelle della comunità linguistica per le quali non è, invece, prevista nessuna forma di riconoscimento e finanziamento. La legge formalizza la distinzione tra cittadini di serie A - quelli della minoranza nazionale - e cittadini di serie B - quelli della comunità linguistica della Slavia Friulana.

Conclusioni

Il diritto alla libera espressione della propria identità etnico-linguistica e/o nazionale è, non solo costituzionalmente garantito ma fa parte della categoria dei diritti fondamentali, inalienabili, dell’Uomo. In particolare, la specifica tutela delle minoranze linguistiche non dovrebbe essere oggetto di contese di parte e le soluzioni pratiche per la sua applicazione dovrebbero essere individuate e codificate nella legislazione dello Stato con il più ampio consenso dei cittadini interessati ed il consapevole sostegno della maggioranza della popolazione che condivide le sorti istituzionali della comunità minoritaria. Non dovrebbero esserci, inoltre, nell’ambito dello stesso quadro statale differenze sostanziali nella qualità della tutela garantita alle diverse comunità minoritarie.

In particolare per quanto riguarda la comunità nazionale slovena e quella della Slavia Friulana si sarebbe dovuto tenere conto della compresenza di varie sensibilità identitarie, frutto dei difficili percorsi della Storia che hanno lasciato tracce profonde nelle coscienze e, considerandole complementarie, avviare processi virtuosi di eventuali convergenze culturali ed identitarie, senza strumentali e forzate assimilazioni alle componenti strutturalmente ed economicamente più agguerrite. Era, questa, un’ottima occasione per aiutare la parte più debole della cittadinanza coinvolta a liberarsi dai fantasmi del passato e ad avviarsi sulla strada di un libero recupero della propria identità, ancora una volta sacrificata sull’altare di interessi altri.

Un Consiglio regionale sovrano, vicino ai cittadini e libero da ipoteche elettoralistiche avrebbe dovuto prendere atto delle evidenti differenziazioni esistenti nell’ambito della comunità della quale andava a predisporre uno strumento di tutela

Invece, ha scelto di porre in essere meccanismi di esclusione, legalizzando consolidati privilegi preesistenti, ignorando le aspettative della società civile per esaudire le pretese delle corporazioni nazionaliste. Invece di contribuire ad avviare a soluzione i tanti problemi delle comunità interessate, la legge 26/2007 li aggrava, perpetuando ed accentuando le ragioni della contrapposizione.

Con i riconoscimenti ed i meccanismi creati dagli articoli 5 (Albo regionale delle organizzazioni), 6 (Organizzazioni di riferimento), 7 (Organizzazioni e attività sindacali), 8 (Commissione regionale consultiva), 14 (Tutela degli interessi sociali, economici e ambientali), 15 (Valorizzazione del patrimonio culturale, storico e artistico), 18 (Fondo per il sostegno delle attività degli enti e organizzazioni della minoranza), 20 (Fondo regionale per lo sviluppo montano), 21 (Fondo regionale per la minoranza), 23, comma 2 (Disposizioni transitorie), il potere delle Organizzazioni, già abbondantemente finanziate dalla Nazione madre, sul territorio di applicazione della legge è pressoché assoluto ed assomiglia molto ad una delega di sovranità, concessa dallo Stato e dalla Regione, su questa porzione del loro territorio e delle popolazioni che vi abitano.

Vittima del suo provincialismo e della miopia politica della sua classe dirigente (sic), il Friuli non si è reso conto di questo esproprio e ha abbandonato Resia e la Slavia Friulana al suo triste destino: diventare la succursale degli apparati sloveni di Trieste e terra di collocamento per le nuove burocrazie bilingui della Venezia Giulia

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